PAOLO PELLEGRIN AL MAXXI DI ROMA

Di Chiara Filipponi
Fotografie di Lorenzo Zoppolato

“I’m more interested in a photography that is ‘unfinished’ – a photography that is suggestive and can trigger a conversation or dialogue. There are pictures that are closed, finished, to which there is no way in.”

Paolo Pellegrin

 

Si è conclusa la settimana scorsa al MAXXI di Roma, l’esposizione frutto di un intenso lavoro di due anni sull’archivio del fotografo Paolo Pellegrin che ha ripercorso attraverso oltre 150 immagini, tra cui numerosi inediti e alcuni contributi video, vent’anni del suo lavoro, dal 1998 al 2017.

La mostra, a cura di Germano Celant, racconta la carriera e il percorso creativo di questo fotografo che ha viaggiato in tutto il mondo con la sua macchina fotografica raccontando uomini, guerre, emergenze umanitarie ma anche storie di grande poesia e una natura portentosa e pulsante.

Due le grandi sezioni scelte per approfondire il lavoro di Pellegrin: la parte iniziale buia, dove domina il colore nero, popolato dal racconto di un’umanità sofferente: la guerra, le tensioni, la distruzione, ma anche l’intima bellezza dell’essere umano nell’espressione delle sue emozioni più profonde; la seconda parte è caratterizzata invece da uno spazio luminoso in cui prevalgono immagini di una natura che, nella sua maestosità e lontananza, sembra ricordarci la fragilità della condizione umana. Le due sezioni sono raccordate da un passaggio che proietta il visitatore dietro le quinte della ricerca visiva di Pellegrin: disegni, taccuini, appunti, piccole fotografie, danno conto della complessità di un processo creativo che si fonda su ricerca, conoscenza e preparazione. Illuminante lo studio attorno all’immagine che emerge da questo percorso che permette al visitatore di entrare nella mente del fotografo per carpirne il processo creativo. Provini a contatto, ritagli di giornale, appunti, sono solo alcuni degli elementi che ci proiettano al di là delle immagini per comprendere il lavoro di Pellegrin attraverso il so interesse per la letteratura, la storia dell’arte, l’architettura, il cinema e, naturalmente, il lavoro di grandi fotografi.

Entrando nella Galleria 5 del MAXXI, il visitatore è accolto dal rumore dello sciabordio delle onde del mare e proiettato in un buio intenso. Un inizio quasi rilassante subito interrotto dalle prime immagini in ingresso, dove si trova una grande parete dedicata alla battaglia di Mosul del 2016, scelta da Pellegrin come metafora del conflitto, che esplode come una Guernica contemporanea con immagini in diverso formato e video che documentano la tragicità e pericolosità della guerra. A questa parete sono contrapposte le gigantografie di tre prigionieri dell’Isis in attesa di essere processati che Pellegrin ha ritratto nel Kurdistan iracheno nel 2015.

Si prosegue poi con una serie di immagini, scattate negli Stati Uniti, che parlano di violenza, razza, povertà, crimine passando poi a ritratti di uomini, donne, bambini, soldati, profughi, rifugiati, migranti, da Gaza a Beirut, da El Paso a Tokyo, da Roma a Lesbo. Esseri che pregano, che piangono, che scappano, che combattono: ogni immagine coglie e sublima con sensibilità i conflitti, i contrasti, i drammi di questo nostro tempo così tormentato e complesso.

In fondo alla galleria, figure evanescenti, ritratti “transitori” colti in momenti di passaggio, affiorano appena dal buio come fantasmi, che guidano lo spettatore verso quella che forse è la parte più coinvolgente di tutta l’esposizione: la parte dedicata al racconto creativo di Paolo Pellegrin.

Dopo il buio intenso, fa da contraltare l’immersione in un ambiente improvvisamente luminoso, di una luce evanescente dove il dato reale sembra sublimarsi nel candore del ghiaccio dell’Antartide.

In occasione della mostra è uscito il volume di Germano CelantPaolo Pellegrinpubblicato da Silvana Editoriale in tiratura limitata con copie numerate. Un lavoro che raccoglie oltre millecinquecento immagini, scandite cronologicamente, in modo da ripercorrere il percorso creativo e documentario di Pellegrin, offrendosi come una summa dell’intera opera del fotografo.

 

 

Paolo Pellegrin

È nato nel 1964 a Roma. Ha studiato architettura all’Università la Sapienza di Roma, prima di studiare fotografia presso l’istituto Italiano di Fotografia sempre nella capitale.

Tra il 1991 e il 2001 Pellegrin è stato rappresentato da Agence VU a Parigi. Nel 2001 è diventato candidato alle Magnum Photos e membro a pieno titolo nel 2005. È stato fotografo a contratto per Newsweek per dieci anni.

Pellegrin ha vinto numerosi premi, tra cui dieci World Press Photo e numerosi premi per fotografo dell’anno, una Leica Medal of Excellence, un Olivier Rebbot Award, l’Hansel-Meith Preis e il Robert Capa Gold Medal Award. Nel 2006 gli è stato assegnato il W. Eugene Smith Grant in Fotografia umanistica. Vive a Londra.

 

 

 

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