GIACOMETTI E L’UOMO IN CAMMINO

Di Francesca Cerno

Entrando nel salone centrale del Palazzo della Gran Guardia a Verona si rimane senza fiato. Alla vista delle sculture di Alberto Giacometti, prima fra tutte l’Homme qui marche, si impone un religioso silenzio e un doveroso spazio di riflessione. Ci si addentra nelle ‘crepe’ che ci indica Jacques Derrida e che dividono l’empirico e il trascendentale, i punti di non tenuta che richiedono una nostra indagine. Domande antiche e risposte moderne, che non possono soddisfare. Ma forse la filosofia arranca dove invece l’arte potenzialmente arriva. Dice Giacometti: “l’arte deve rivelare la verità.”

Quale verità? Siamo uomini in marcia, alla ricerca di noi stessi, uniti in questo viaggio da punti interrogativi ambigui e potenti, nell’ortografia della felicità. Sicuramente il nostro scultore era capace di spingersi fino al punto estremo del cammino, appesantito da se stesso e alleggerito dall’atto creativo. Per l’artista non c’è volontà o libero arbitrio, solo impetuosa, ineluttabile e inesauribile necessità di cesellare, nel caso di Giacometti, ogni istante. Quando l’anima irrompe, l’itinerario è tracciato ed è impossibile interromperlo. E allora, passo dopo passo, gli occhi si aprono, lo sguardo si amplifica. Così Giacometti continua a scolpire, incessantemente, instancabilmente, e a dare forma al destino. E sempre raggiunge quello spazio dell’etere dove la materia è pensiero e al tempo stesso sentire. È il punto di arrivo che solo i veri artisti riescono a sperimentare. Et voilà, l’homme qui marche est enfin arrivè.

IL TEMPO DI GIACOMETTI DA CHAGALL A KANDINSKY. Capolavori dalla Fondazione Maeght

Fino al 5 Aprile 2020

Verona, Palazzo della Gran Guardia

 

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