IL VIRUS E SAN ROCCO. I RIFLESSI NELL’ARTE.

Di Gino Colla

A Venezia c’è la magnifica Scuola di san Rocco, affrescata da Tintoretto nel 1564. Il tema trattato è la Passione, come quella di Cristo, ma anche temi biblici, e, nell’omonima chiesa, San Rocco che risana gli appestati. L’immagine riporta un santo che si dedica al prossimo, tra luce (poca) e molte ombre.

Il santo nasce a Montpellier nel 1345 e muore a Voghera nel 1376. Fu ricco di nascita, ma decise di dedicare la propria vita alla preghiera e al bene del prossimo. La sua storia si sviluppa nell’Europa di metà 1300, devastata dalla peste. In Italia bastava un tocco della mano e i malati guarivano.

Anche San Rocco si ammalò, nei pressi di Piacenza, e venne guarito, visto che si ritirò nei boschi, da un angelo e da un cane, che gli portava ogni giorno un pezzo di pane.

Ritornato in patria, non volle farsi conoscere come figlio di famiglia importante francese e morì in prigione, considerato come una spia. Lasciò una tavoletta con una scritta che diceva che chi lo avesse invocato, sarebbe guarito dalla malattia. Per questo rimase un Santo patrono dei malati infettivi e dei prigionieri.

In questo senso venne venerato a Venezia, in particolare, dove nel 1576 vi fu una terribile pestilenza che uccise in due anni 50 mila persone, e che viene ancora ricordata nella celebre festa del redentore.

Anche a Udine c’è una piccola chiesa dedicata a san Rocco, dove era conservato un quadro di Pellegrino di San Daniele.

È facile intuire che il presente articolo è dettato dall’emergenza in cui oggi ci troviamo, e che ci limita nella libertà di movimento, di riunione, di cultura. Ma che crea anche un ridimensionamento del nostro narcisismo. Un invisibile virus può minare la nostra esistenza. Non possiamo decidere tutto della nostra vita, neppure il battito del cuore dipende dalla nostra volontà.

C’è da dire che nel 1600 esisteva una visione di Dio, che ispirava l’arte in tutti i modi, che in qualche modo sollevava il popolo dalle sofferenze corporali. La massa trovava in Dio quel grande padre che aveva perduto. Il concetto di morte del padre è quanto mai decisivo nel Disagio della civiltà di Freud. Oggi anche il Papa da’ rilievo al contagio, trasmettendo l’Angelus solo via televisiva.

Il divino è oscurato dalla fede in noi stessi e nelle nostre capacità, ma è poi il nostro narcisismo che ci salverà? Forse la consapevolezza del nostro essere fragili ci aiuterà invece a dare un senso più giusto ai valori, il vivere più in solitudine ci aiuterà a meditare, a riscoprire gli affetti.

Anche il grande Pascal scriveva: “Tutti i mali del mondo capitano perché l’uomo non sa stare solo nella sua stanza”. E questo è tanto più vero oggi, nel mezzo del corona virus, e della civiltà frenetica in cui viviamo.

 

Post a comment