IL CASO DE CHIRICO.

I CASI LEGALI NEL MONDO DELL’ARTE

 

IL CASO DE CHIRICO: DE CHIRICO FALSARIO DI SÉ STESSO

Di Marina Isaia

Il caso che voglio portare alla vostra attenzione è un caso un po’ datato, ma che mi ha molto colpito ed appassionato, e che è stato per lungo tempo al centro di un affare clamoroso.

 

Il caso che vi propongo riguarda l’opera di Giorgio De Chirico intitolato “Piazza d’Italia” – data 1913.

Il celebre artista, noto per il carattere bizzoso e instabile, egocentrico e vittimista, oltreché molto vendicativo, quando vide nel 1947 quell’opera mostratagli da una collaboratrice del critico e mercante romano Dario Sabatello, che l’aveva acquistata alla Galleria del Milione di Milano, montò su tutte le furie, la dichiarò «una bruttissima e grottesca copia» e tentò di sequestrarla affinché «non potesse più circolare».

Il quadro fu oggetto di un lungo processo (1947-1956) che in primo grado diede torto all’artista confermandone l’autenticità. Appello e Cassazione però ribaltarono il giudizio: “Souvenir d’Italie” fu giudicato una copia, come asseriva l’autore, e se ne dovettero abradere la firma e la data.

E questa resta tuttora l’opinione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.

Ma ci si chiese perché mai, de Chirico pretese il sequestro di un’opera che falsa invece non era? Perché accusare, di fatto, un collezionista impeccabile che l’aveva acquistata da lui stesso nel 1933, di averla sostituita con una copia, facendone un malfattore? E infine: dove sarebbe finito l’originale, mai ritrovato?

È stato scritto un libro su questa vicenda che ebbe risonanza mondiale all’epoca anche per la notorietà delle persone coinvolte.

Secondo la ricostruzione degli autori del libro, la verità storica è molto diversa da quella processuale: il quadro era sì un “falso”, ma il falsario era lo stesso de Chirico, che lo aveva datato 1913 pur avendolo eseguito a Parigi nel l’estate del 1933, pressato dalle richieste di dipinti metafisici da parte del direttore del Kunsthaus di Zurigo Willhelm Wartmann, in vista della personale che gli stava allestendo, un anno dopo quella memorabile di Picasso. Una mostra vitale per lui, che attraversava un periodo nero: pochissime vendite e i tignosi avvocati della prima moglie Raissa alle calcagna.

Ma di quadri metafisici non ne aveva più (lo aveva scritto lui stesso a Wartmann e all’amico pittore Romano Gazzera), e a Zurigo voleva esporre (e vendere) solo opere di sua proprietà. Wartmann insisteva: gli assicurò così che sarebbe andato a Parigi a «raccogliere quadri metafisici per la mostra» facendoseli prestare dai primi collezionisti. Giunse infatti a Zurigo con due opere “del 1913” (due Souvenir d’Italie) e una “del 1916”: ma dai documenti del museo è chiaro che le opere erano di sua proprietà, e non in prestito.

La mostra fu un fiasco, tutto rimase invenduto.

Quando fece sequestrare il quadro, de Chirico – legittimamente esasperato dai falsi metafisici che da qualche anno circolavano in America, diffusi dall’italiano Mario Girardon, e in Europa, a opera del surrealista Oscar Dominguez spalleggiato da Paul Eluard – era convinto che vi fosse un «complotto surrealista e modernista» ai suoi danni, teso a valorizzare la pittura metafisica, di cui non possedeva più nulla, e svilire invece la successiva, con cui doveva pur continuare a campare.

Ma ciò che in realtà lo feriva era la consapevolezza di essere «un sopravvissuto» e di essere ormai considerato a livello internazionale solo come padre della Metafisica, e quindi come precursore dell’odiato Surrealismo: freudianamente, l’oggetto del suo odio divenne proprio la Galleria del Milione dei fratelli Ghiringhelli, che prima della guerra aveva trattato i suoi (veri) dipinti metafisici.

Insomma, si riteneva vittima di un complotto ordito dagli ambienti surrealisti e modernisti per squalificare la sua pittura recente e invadere il mercato con opere false.

E meno che mai poteva sopportare che scoprissero la sua attività di «falsario di sé stesso». Ripudiare quel dipinto venduto dal Milione, assestando un colpo durissimo all’immagine della galleria, fu dunque la sua micidiale e clamorosa vendetta.

Post a comment