“Chi dice cultura dice anche amministrazione” T.W. Adorno

Di Gianna Ganis

Questo mese proviamo a ripercorrere brevemente alcuni passaggi che hanno portato alla definizione e ai contenuti del sistema dei Beni Culturali intesi come beni identitari di una nazione e quindi dei suoi cittadini, anche futuri, ovvero di quel patrimonio culturale pubblico del nostro Paese da gestire, tutelare e valorizzare. Un breve riepilogo per ricordare quali furono le ragioni e i passaggi cruciali attraverso i quali le nostre Istituzioni si sono strutturate e caso mai… evolute? e con uno sguardo ad alcune delle iniziative fin qui più abusate per promuovere arte e  cultura .

Qualche riferimento storico.

Andando per ordine, già nel 1773 a Venezia il Maggior Consiglio della Serenissima, di fronte a continui furti nelle sale del potere, commissionò un inedito inventario delle opere di proprietà della Repubblica, ponendo così le premesse per il riconoscimento di un proprio patrimonio artistico catalogato.

Nella Prussia del 1815 si racconta, ma in realtà si tratta di documentazione storica, che il Cancelliere illuminista di allora, al neodirettore del Teatro Nazionale dichiarasse “Faccia il miglior teatro della Germania, e poi mi dica quanto costa” ribaltando il nostro attuale “… al massimo ribasso” privilegiando da parte sua in primis il valore della qualità architettonica e artistica di un bene di Stato.

Venendo a tempi non lontani e a esempi più moderni, il Governo francese nel 1959, costituì per decreto il Ministero degli Affari culturali sotto la direzione dello scrittore e poi Ministro André Malraux. Egli comprese  la mancanza di un organismo ben strutturato e centrale di tutela, conservazione e acquisizione del patrimonio culturale nazionale quando, nell’inaugurare una grande mostra antologica di Picasso, si accorse che, delle opere esposte tutte prestate, nemmeno una era di proprietà dello Stato francese. Questa situazione dette vita al “diritto” dello Stato sull’eredità di Picasso ovvero alla conseguente possibilità data agli eredi di pagare gli oneri successori con opere del padre, opere che per altro, i curatori statali scelsero per primi nell’immenso lascito dell’artista andando a costituire così l’attuale collezione nazionale francese del maestro.

Solo 15 anni dopo, nel 1974, il Governo italiano prese spunto dall’esperienza francese ed istituì il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali sottraendo le competenze a 2 altri ministeri: quello del Tesoro per la proprietà dei Beni e quello della Pubblica Istruzione che ne aveva la responsabilità e la cura. Solo nel 1998 al Ministero furono assegnate anche le competenze su spettacolo e sport mentre negli anni successivi sport e turismo sono entrati e usciti dalle responsabilità dell’Istituzione.

Venendo alla produzione e all’offerta culturale di eventi, mostre, concerti negli anni che seguirono l’istituzione del Ministero, esse erano circoscritte a poche città principali del Paese. Quel periodo storico molto critico, gli anni Settanta, culminò con lo scontro politico e culturale e gli anni di Piombo ma produsse anche controcultura, radio libere, raduni di musica, richiesta giovanile di spazi di aggregazione, in una parola nuova creatività. Proprio nel 1977 gli eventi cinematografici, teatrali, musicali organizzati nelle piazze o negli stadi dettero vita alla famosa Estate Romana sostenuta dal Comune di Roma e inventata, cogliendo pienamente lo spirito del tempo, dall’ effimero Renato Nicolini che i meno giovani come me, sicuramente ricorderanno. Questo progetto si tradusse in una rigenerazione culturale che, coinvolgendo i cittadini nell’utilizzo degli spazi pubblici urbani e periferici, divenne fenomeno sociale capace di avviare un dibattito internazionale e di ridefinire il ruolo dell’Amministrazione pubblica nella promozione dei fenomeni culturali. Aver raccolto infatti una richiesta di cultura dal basso, reale e partecipata costituì il vero successo di quell’iniziativa.

Inoltre, quelli furono gli anni in cui vennero istituiti gli Assessorati alla Cultura comunali, provinciali, regionali ai quali furono assegnati bilanci e deleghe per la questione socio-culturale e cominciarono ad arrivare anche le prime risorse dal settore privato in forma di sponsorizzazione. Ovviamente i grandi eventi avevano ed hanno bisogno di risorse pubbliche che una volta destinate da ministri o assessori diventano vetrina mediatica e generatori di consenso e per le città che li ospitano promotori dell’immagine e dell’identità di un territorio, volani di offerta turistica oggi come allora.

Di conseguenza dagli anni Novanta in poi si è assistito allo sviluppo della lunga stagione dei festival artistico-culturali, specialmente quelli tematici, vedi il primo di Mantova letteratura del 1997 e poi all’uso delle grandi mostre Goldin-Linea d’Ombra 1988-1996 Treviso-Casa dei Carraresi, costruite per attirare grandi numeri di visitatori che generavano economie importanti in anni “ricchi” a fronte di investimenti pubblici e di sponsorizzazioni sostanziose.

Modelli che ancora oggi   ingolosiscono Amministrazioni che rischiano di sobbarcarsi costi molto onerosi sperando nella ricaduta economica non sempre realistica per i tempi che corrono. Possiamo sicuramente dichiarare che gli eventi di questa natura possono considerarsi ormai maturi tranne per quelli che non sono strumentali al disegno di un’artista, di un curatore o di un’istituzione , ma conseguenza prestabilita di un percorso scelto e condiviso dalla città con una reale progettualità, una capacità di ridefinire il proprio ruolo e priorità da perseguire.

Ovviamente in questi anni molte sono state le riforme e le controriforme nel sistema dei Beni Culturali, politiche e visioni diverse che certo non hanno giovato alla crescita di consapevolezza dei cittadini a favore dell’importanza e della conoscenza del nostro grande patrimonio a partire dalla sciagurata mancanza di educazione scolastica della storia dell’Arte e della musica considerate come corollario alle altre materie. Le agevolazioni fiscali introdotte con l’Art Bonus hanno contribuito a finanziare progetti di restauro e valorizzazione ma ancora non basta e ci auguriamo che la nuova “partenza” post pandemia possa introdurre una serie di modifiche e di ripensamenti nella gestione di ogni settore culturale da parte del soggetto pubblico e di quello privato.

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