INTERVISTA A FRANCESCO COMELLO.

Francesco Comello.

In occasione della mostra in corso presso la Galleria Tina Modotti di Udine, ex Mercato del Pesce, pubblichiamo l’intervista da noi fatta a Francesco Comello nel novembre 2016. Buona lettura!

Francesco Comello è nato a Udine nel 1963, si è diplomato al liceo artistico G. Sello e lavora oggi come grafico freelance. Da sempre appassionato di fotografia, solo negli ultimi anni ha deciso di dare voce alla sua voglia di raccontare, facendolo attraverso il mezzo fotografico, mezzo che gli consente di tessere con grande efficacia le trame delle sue storie. Vincitore di numerosi premi, tra cui il Portfolio Trieste nel 2009 e nel 2013, autore dell’anno FIAF Friuli Venezia Giulia nel 2013, ha esposto con successo in Italia e all’estero.

Questo mese abbiamo avuto il piacere di approfondire la conoscenza di questo artista, sebbene lui stesso non ami definirsi tale, che ci ha permesso di entrare nel suo mondo e farci intravvedere l’universo nascosto dietro le sue immagini.

 

Francesco, guardando le tue immagini si rimane colpiti non solo per la storia potente che racconti, ma anche dal modo in cui lo fai, una poesia del reale. Ti ritieni più un fotogiornalista o un artista?

Artista è una parola grande, che in passato veniva destinata solo a persone di grande valore e forse oggi se ne fa un uso spropositato.

Certamente il linguaggio artistico e non convenzionale è quello che più ispira e stimola il mio processo di elaborazione della realtà. Provengo da studi artistici e da una grande passione per il disegno e nella fotografia ho trovato un linguaggio dove convogliare queste mie energie. La composizione, l’equilibrio, la forma, sono sempre alla base di ogni mio scatto. Ritengo che un linguaggio che si esprime attraverso un equilibrio formale, che equivale al bello, senza scadere nel solo estetismo, abbia una grande forza comunicativa.

Quindi non mi ritengo un fotogiornalista, né un reporter, perché non mi limito alla sola rappresentazione della realtà ma cerco di sconfinare, rovistando nei suoi anfratti, alla ricerca di una visione più poetica, metaforica e personale.

 

Guardando le tue fotografie si rimane colpiti dalla sequenza, intesa e coinvolgente. Che rapporto hai con la scelta della foto in una sequenza? Ti fai aiutare da qualche fidato photo-editor o lo consideri un lavoro troppo personale?

La fase di editing è sempre credo per tutti noi fotografi uno dei momenti più delicati. Quando fotografo uso molto l’istinto e per assurdo può risultare più facile agire in questa prima fase. Nel momento della selezione degli scatti, e nella successiva narrazione della tua storia, tutto si complica. Primo problema è l’attaccamento emotivo che tu hai con alcune delle immagini che hai realizzato e che possono coincidere a precisi momenti di vissuto, che non necessariamente possono portare con sé elementi di forza o di significato.

Nel momento della scelta delle foto è necessario un distacco difficile da raggiungere, mentre l’occhio pulito e vergine di una persona esterna, può essere di molto aiuto. Succede spesso quindi che ti affidi al giudizio di persone che per affinità intellettuale e sensibilità umana si avvicinano al tuo modo di vedere. Altrettando importante è la seconda fase: dopo aver individuato le foto buone bisogna trovare le giuste connessioni per arrivare ad una narrazione il più potente e coerente possibile. Anche in questo l’intervento esterno può risultare molto prezioso. Uno degli strumenti che ho utilizzato per molti anni e che è servito indubbiamente alla mia formazione è stato la lettura portfolio, un momento di confronto molto formativo con esperti autorevoli di fotografia, che generalmente lavorano in svariati campi, autori, curatori, editor o docenti. Un momento dove bisogna essere in grado anche di mettersi in discussione e raccogliere i suggerimenti, pur sempre mantenendo una lucidità nell’analisi di quanto ti viene trasferito. È chiaro che la risposta non sarà mai univoca e alcune volte potrebbe essere anche fuorviante!

 

Il tuo è un progetto intenso e di lungo periodo, lo consideri terminato? quando consideri un progetto terminato?

 Un progetto lo sento terminato quando mi rendo conto che non ho più nulla da raccontare di quella storia. E questo non mi succede spesso! ritorno molte volte, in un arco di tempo che dura anni, nei luoghi che racconto, perché solo così posso entrare in profondità.

Io faccio una fotografia che non contempla la messa in scena, la costruzione di una situazione, è una fotografia che pazientemente aspetta che succeda quel qualcosa di magico che trasformerà anche una situazione ordinaria in qualcosa di straordinario. Per far questo devi essere in sintonia con il luogo e le persone ed entrare, essere parte attiva delle storie che racconti, in definitiva viverle per poterle comprendere, e per far questo è necessario del tempo. Vorrei riportare una citazione di un grande scrittore triestino Claudio Magris: “Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell’incontro, della seduzione e dell’avventura”.

 

 

Anche alcuni tuoi precedenti lavori sono stati fatti in Russia. Come mai il tuo immaginario è legato alla Russia? che cosa ti affascina di questo mondo lontano?

 La Russia è stato il mio primo amore, ed è stato anche il mio primo progetto fotografico riuscito. Prima mi divertivo a realizzare singole immagini, ero più orientato alla fotografia di strada. Nel 2008 sono partito, con l’idea di raccontare una storia, per il primo viaggio in Russia, in un piccolo villaggio contadino del nord, non sapendo che questo avrebbe poi condizionato la mia vita. È stato un flash, mi sono trovato catapultato in un mondo antico, che poteva esserci solo nei miei ricordi dell’infanzia. Da quel primo viaggio sono seguiti molti altri che mi hanno portato a realizzare due lavori importanti, l’ultimo “L’isola della salvezza” sta trovando finalmente un ottimo riscontro di critica. Non sento di aver esaurito in questi luoghi la voglia di raccontare. Le storie arrivano da sole e ti chiedono di continuare a raccontarle.

 

Ci teniamo a ricordare a tale proposito che Francesco ha vinto il primo premio Spot Light Award del World Report Award 2016 con il suo lavoro sulla Russia, e il terzo premio nella categoria Daily life del World Press Photo 2017.

 

Che cosa consiglieresti ad un giovane fotografo?

Di capire soprattutto se ci sono le qualità per percorrere questa strada. Ognuno di noi credo abbia in sé una forza creatrice, a prescindere che usiamo le mani, la parola, la musica, il disegno o altre arti visive. È importante che noi riusciamo ad individuare la cosa che più è insita nelle nostre capacità. Se avete individuato nella fotografia la vostra forza creatrice, quella che vi permette di esprimere liberamente la vostra anima, allora credeteci fino in fondo. Sappiate che il percorso sarà lungo e tortuoso e alle volte deprimente.

Dice Patty Smith “Ci sono dischi che non ascolterà mai nessuno e libri che verranno letti da cinquanta persone. Non ha importanza: un artista lo fa perché lo deve fare, lo fa per vocazione. Costruirsi un buon nome e tenerlo pulito”, secondo Patti Smith, “è il massimo obiettivo a cui puntare. Non scendere a compromessi, non preoccuparsi di fare soldi e avere successo, ma svolgere un buon lavoro, proteggerlo e prendere decisioni giuste. Un buon nome è la valuta di un artista.”

 

Per te è importante creare un legame con le persone che fotografi, oppure pensi sia giusto mantenere una certa distanza?

 Il legame che tu instauri con le persone che incontri è impagabile ed è uno dei motivi che mi spingono a perseguire tenacemente questa mia passione. L’esperienza fotografica coincide in qualche modo con l’esperienza di vita personale e le persone che incontri lungo il tuo cammino, diventano parte indelebile del tuo mondo. L’incontro con l’altro, anche se profondamente diverso da te per condizione o cultura, resta uno dei momenti più emozionanti di questo percorso.

 

Ed emozionante è stato sicuramente per noi di On Art l’incontro con questo fotografo le cui parole e immagini ci riportano a valori ed emozioni senza tempo.

 

Grazie Francesco.

La mostra dal titolo “L’isola della salvezza” inaugurerà mercoledì 30 agosto alle 18.30 presso la Galleria Tina Modotti e resterà aperta al pubblico con ingresso gratuito fino al 16 settembre con i seguenti orari :

venerdì 1 sabato 2: 17.30-19.30

giovedì 7 venerdì 8 sabato 9 domenica 10: 17.30-20.00

venerdì 15 sabato 16: 17.30-19.30

 

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