LEADER O MAESTRO?

Di Gino Colla

È in corso a Cividale, una mostra di quadri e stampe di importanti artisti (Schifano, Chia, Rotella, Afro, Dine, Warhol, ecc.), presso lo Spazio Corte Quattro, in abbinamento al Mittelfest, dove, come noto, il tema di quest’anno è Leadership.

Nella presentazione, il Presidente Federico Rossi, faceva notare che ci sono sempre meno maestri, e che invece, ci sono molti leader (o presunti tali).

Nel vocabolario, troviamo che “Leader è un capo di partito o schieramento politico, sindacale o culturale”.

Il capo può non essere un leader, se è messo in cima alle gerarchie per relazioni o influenze, ma non per capacità personali.

Tutt’altro ruolo per il maestro. Egli è persona che “in virtù delle cognizioni o esperienze, può contribuire all’altrui preparazione o formazione”. Una guida insomma, in senso positivo, e non solo un transitorio capo popolo.

Di questo tema è quanto mai attuale il testo di Freud, inizi ‘900, intitolato Psicologia della massa. In esso si parla di Esercito e Chiesa, dove è necessario che vi sia un capo, anzi la gente si aspetta che ci sia un capo. Si parla anche della massa capace delle migliori o peggiori azioni (Le Bon scriveva che la folla è femmina, si lascia trascinare in modo irrazionale verso il bene o verso il male assoluto). Ma un concetto rilevante introdotto da Freud, è l’esistenza di una “pulsione gregaria” nell’essere umano. Nietzsche parlava del cammello, come l’animale, che assomiglia a taluni esseri umani abituati a servire, a differenza del tipo leone, che ha coraggio ed è arbitro del suo destino.

Poi Lacan, nei vari Seminari in cui affronta il tema del Discorso (ciò che precede la lingua e la parola che usiamo, come fatto sociale), fa differenza tra il Discorso della scienza e il Discorso dell’analista. Il primo, nell’ottica dell’autore, è una ripetizione burocratica del sapere, un essere maestri senza creatività. Il secondo è un soggetto (il paziente) che si mette in discussione, scopre il suo essere mancante e bucato, e da’ spazio al Desiderio.

In conclusione, ha ragione Rossi, che abbiamo bisogno di Maestri, ma in un’ottica più socratica che altro, cioè non di meri addestratori, ma di persone che ci aiutino a far uscire dal nostro intimo la parte buona e costruttiva, non di una supposta identità, ma della nostra mancanza a essere (come direbbe Lacan).

Nel campo dell’arte, il maestro è una figura meglio definita nel periodo rinascimentale (pensiamo alle botteghe, tipo i Bellini a Venezia), ma che si è persa nella contemporaneità. In fondo c’è da dire che la creatività è propria dell’essere umano, ma nelle Accademie non tutti gli insegnanti sono capaci di avere la pazienza di stimolare e appassionare gli allievi. Forse è il mercato (purtroppo), che illude alcuni artisti di essere maestri, a suon di quotazioni mirabolanti.

Alla fine l’artista vero si riconosce nel tempo, perché come dice Weiwei,” l’arte o è rivoluzionaria, o è semplice arredo”. E la nostra pulsione gregaria non ci consente di vivere nel presente la portata innovativa.

 

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