I PRERAFFAELITI E LE NUOVE MELANCONIE.

Di Gino Colla

Il tema di cui ci occupiamo è legato a due filoni di arte e pensiero, che sono in voga in questo periodo. Da un lato il proliferare di mostre sui Preraffaeliti inglesi (da ultimo a Londra sulle donne artiste di quella corrente artistica) e dall’altra l’uscita del nuovo libro di Massimo Recalcati: Le nuove melanconie, R. Cortina Editore.

I Preraffaeliti furono degli artisti inglesi, molto di moda nel secondo ottocento inglese. La corrente nacque nel 1848 e si oppose alla diffusione in Inghilterra di dipinti ispirati a Raffaello e al Rinascimento italiano. Una prima caratteristica era quindi il ritorno alla purezza ed essenzialità dell’arte medievale. C’era anche la propensione a lavori, come quello di Brett, che fanno riferimento alla natura inglese, e in particolare, a uno splendido Ghiacciaio. Un artista che è legato a questa corrente fu Dante Gabriel Rossetti, che morì nel 1882, a soli 54 anni. Negli ultimi dieci anni della sua vita soffrì di una terribile depressione, con abuso di cloralio idrato e whisky per curare l’insonnia. Rossetti si allontanò dal tema della natura, per sviluppare un simbolismo legato a temi cavallereschi e a saghe medievali, ispirato anche al grande poeta e artista William Blake.  Le donne modelle dei preraffaeliti (per comodità PRB, come si chiamava il gruppo), erano figure statuarie con folti capelli per lo più tendenti al rosso. Una di queste, Jane Burden, fu sposata al pittore Morris, mentre Rossetti sposò Lizzie Siddal, che morì dopo aver ingerito una quantità eccessiva di laudano per la depressione conseguente all’aver partorito una bambina morta. Successivamente Rossetti iniziò una relazione con Jane Morris, che il pittore, ritrasse, tra l’altro nella Proserpina, la dea dell’Ade, l’oltretomba dei Greci. Diffusa anche la rappresentazione di altre eroine tragiche, quali Ofelia, sorella di Amleto, morta suicida, o Medea, la moglie abbandonata da Giasone, che poi uccide per vendetta i figli avuti dal marito.

Quindi un quadro inquietante e tragico, di artisti e di donne spesso tristi e malinconiche.

Da qui il testo appena uscito da Recalcati, dove si riassume, in uno specifico capitolo, la differenza tra la malinconia di Freud e quella odierna. Nel saggio Lutto e Malinconia, Freud, scopre la differenza tra il lutto, la perdita non solo della moglie o del marito, di un parente, ma anche di qualcosa di simbolico, come l’oggetto, la giovinezza, la salute. L’elaborazione del lutto, come abbiamo visto in uno scritto precedente, è appunto un lavoro, che con il tempo, porta a prendere la distanza dalla perdita. La melanconia invece, è statica. Nessuna opera di elaborazione, nessun tempo che possa aiutare a superarla. È la mancanza di un Oggetto, e purtroppo l’enigma è capire quale sia questo Oggetto in senso lato. Dall’aspetto statico della melanconia, si passa in Lacan, alla differenza tra depressione nevrotica e melanconia. La differenza è sottile, ma la nuova melanconia è legata all’assenza di Desiderio, all’assenza di vita, di volontà di vivere, di prendersi dei rischi. Giocare implica l’ipotesi di perdere, e la vita è gioco. Non voler mettersi in discussione vuol dire ritirarsi dalla scena del mondo, con perdita dell’entusiasmo, della voglia di respirare, di mangiare, di amare. Questa è la nuova Melanconia, un ritirarsi dalla scena, e non più un fantasma triste nella nostra esclusiva interiorità, legato a qualcosa che riteniamo di aver perso, o che forse non sappiamo ritrovare.

Gli artisti preraffaeliti, hanno quindi rappresentato e sublimato la malinconia parecchi anni prima di Freud.

Ancora una volta le immagini hanno preceduto il pensiero.

 

 

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