IMMAGINARE IL VIRUS.

Di Gino Colla

Come rappresentare ciò che non ha un volto?

Il tema dell’immagine è molto affascinante, a pensarci bene. Heidegger, nella sua fase metafisica, quella dell’Origine dell’opera d’arte”, identificava l’essere, ciò che permea le persone e le cose, come qualcosa di ulteriore rispetto a ciò che ci circonda. In questo fa un salto notevole rispetto a Hegel. Ma come parla l’Essere? Ebbene, l’Essere si esprime attraverso l’arte, e in particolare, la Poesia.

Facendo un salto negli anni 60, Lacan, noto psicoanalista francese, morto poi nel 1981, distingue tra realtà e Reale. Il Reale potrebbe ricordare l’Essere di Heidegger. La realtà, secondo Lacan, è fatta delle nostre abitudini, nel nostro esistere, nel nostro lavoro.

Per questo parla anche del “sonno della realtà”. Sonno perché è tutto ciò che facciamo con automatismo, senza pensare.  Il Reale invece è ciò che non si può dire, né rappresentare (tipicamente l’inconscio o la morte). L’arte contemporanea si è confrontata con il Reale, proprio partendo dall’arte astratta (inventata da Kandinsky), ma poi sviluppatosi tramite l’Espressionismo astratto di Gorky, Rothko, Pollock, ecc.). In questo ultimo caso la seconda guerra mondiale aveva creato una frattura tra l’immagine e la Realtà. L’angoscia esistenziale, la morte, le ferite, la distruzione, non consentivano più di rappresentare i paesaggi, i fiori, la natura, i volti, come accadeva nell’Impressionismo. Bisognava comunicare il Reale, ciò che stava dentro l’anima, sensibile e volubile, degli artisti. Molti espressionisti astratti erano anche immigrati negli Stati Uniti, dall’Armenia, dalla Lituania, ecc., e per questo ancora più disancorati dall’ambiente in cui vivevano. James Brooks diceva di Pollock:

“Trasporta l’opera in un mondo di rilevazioni e di spaventi, dove l’uomo si trova sempre oltre il punto di non – ritorno”.

Saltando ai tempi odierni, mi sono chiesto come vorrei rappresentare il mio stato d’animo in questi giorni di solitudine, ma anche di sosta (forzata), di attesa, ma anche di speranza. Ho trovato risposta in un acquerello di José Munoz, dal titolo “Nuvole”.

L’artista dice che questo paesaggio, con nuvole rosse (come il sangue e il fuoco) si abbina con la parola “Resistenza”.

La parola, enigmatica e che ricorda la guerra, si sposa con un’immagine angosciante, ma anche leggera, come le nuvole che passano.

L’Essere, o il nostro Sè, come direbbe Jung, può trovare espressione anche tramite le nuvole. Passano i secoli, ma la paura della morte è una costante, fin dalla preistoria. L’importante è farsene qualcosa di questi drammi, filtrarli nella coscienza e viverli. Semplicemente viverli, come quando c’è un distacco da una persona cara, o un trasloco in una nuova casa.

 

 

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