LA FORZA DELLA SCRITTURA (FEMMINILE)

Di Francesca Cerno

«Nessun vascello c’è che come un libro / possa portarci in contrade lontane /
né corsiere che superi la pagina / d’una poesia al galoppo – Questo viaggio può farlo anche il più povero / senza pagare nulla – / tant’è frugale il carro che trasporta / l’anima umana.»

Non sono sicura che questi versi risalenti al 1873 avrebbero la stessa forza se fossero stati scritti da un colto gentiluomo, avviato alla carriera, con una predisposizione alla lettura. In fondo, sarebbe stato un pensiero condivisibile dai suoi pari, legittimati a studiare. Il componimento, invece, e qui risiede – a mio avviso – lo straordinario, è stato composto da Emily Dickinson, esclusa in quanto donna e in quanto poetessa alla condivisione delle sue opere. Infatti, solamente sette delle sue quasi duemila composizioni videro la stampa quando l’autrice era ancora in vita. “A mia madre – si legge in una delle sue numerose lettere – non interessa il pensiero. Mio padre, troppo preoccupato delle difese in tribunale per accorgersi di quello che facciamo, mi compra molti libri, ma mi supplica di non leggerli, perché ha paura che mi scuotano la mente.”

Ed ecco che la potenza della scrittura si manifesta in una donna egualmente forte, in un’epoca in cui la mentalità era sfacciatamente patriarcale. E per quanto nel 2020 molti progressi in questo senso siano stati fatti, c’è ancora chi illusoriamente è convinto che la forza risieda nei muscoli delle braccia anziché nel plesso solare. Potere e grazia non solo possono coesistere – e il lascito di Emily Dickinson ne è una prova schiacciante – ma possono governare, se non il nostro Paese, almeno il nostro destino.

Sono trascorsi esattamente 190 anni dalla nascita di Emily Dickinson ed è una ricorrenza che non può passare inosservata, specialmente in questo periodo storico in cui si è forzatamente costretti a uno sguardo interiore, dal momento che la vita sociale ci è preclusa. E non c’è un mezzo più adatto della scrittura introspettiva per scandagliare l’anima e interrogarci sulla sua profondità. La conosciamo? La temiamo? Cosa c’è da sapere di noi e del frugale carro che la trasporta? Rispondere a queste domande può essere un viaggio tanto pericoloso quanto necessario. Perché quello che abbiamo dentro è ciò che proiettiamo fuori. E allora, non solo i versi, ma l’eredità di una donna che ha amato la libertà del pensiero laddove l’esterno era solo oppressione ha molto da farci riflettere.

 

 

 

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